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by Loretta Dalola


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Ti presento i Romani: segreti di famiglia


Negli ultimi cinquant’anni abbiamo mutato il concetto di età infantile ed età adulta. Ma come vivevano i bambini all’epoca della Roma antica? È il tema del terzo appunatamento della mini serie della BBC: Ti presento i Romani in onda su History channel. Mary Beard, classicista dell’Università di Cambridge, ci  porta in giro per strade, tombe, fori, musei  di Roma svelando curiosità e segreti degli antichi romani. Niente di noioso ed accademico, come si potrebbe pensare. Al contrario, un viaggio affascinante dove la conoscenza ci viene trasmessa con semplicità ed entusiasmo. Mary passeggia con gli esperti, si sposta in bicicletta e armata di spazzolina pulisce i marmi delle lapidi romane per svelarci una parte della nostra storia che i libri celano. Un mondo diverso, lontano, che piano piano viene in superficie, grazie all’insolito modo di  raccontare fatti storici ed aneddoti.  Con professionalità e vivace ironia la studiosa, evidenzia che da pochissimo abbiamo introdotto, nella nostra cultura,  il concetto di infanzia e adolescenza, mentre per i nostri antenati non c’era distinzione. L’ alto tasso di mortalità infantile nell’antica Roma, è dimostrato ancora una volta dalle lapidi. Tantissime, e su queste si nota che almeno la metà non sopravviveva ai dieci anni. Statistiche terribili ma, non tutto era cupo e triste e nonostante le tombe ci parlino di morte sono piene di colore e amore.

Ma cosa succedeva ai bambini che sopravvivevano?

Molto dipendeva dal ceto sociale. L’istruzione, come molti altri aspetti della vita dei romani, era legata alla classe sociale di appartenenza. Le famiglie meno agiate non potevano permettersi, di far studiare i figli, che quindi, sin dalla primissima infanzia, si dedicavano al lavoro. Le ossa testimoniano che i piccoli arti erano sottoposti a sforzi gravosi. Svolgevano a lungo lavori pesanti, manuali, invece di andare a scuola o giocare. Anche gli oggetti ci parlano del mondo infantile. I bambini portavano al collo una “crepundia“, una collana con ciondoli che li distingueva. Una collana che svela anche una pratica crudele e molto diffusa, l’abbandono dei bimbi. Nell’antica Roma se non volevi un figlio lo buttavi via. Un fatto ineluttabile e una volta abbandonati dovevano lavorare. Presso le famiglie più agiate, andavano a scuola, lezioni all’aperto, a pagamento, solo per maschi,  con lavagne e maestro. Si imparava a leggere e scrivere, niente materie scientifiche solo oratoria e poesia.  I cattivi alunni venivano puniti, calati i calzoni, trattenuti dai compagni, venivano frustati. Le punizioni corporali erano molto diffuse. Educazione equivaleva ad istruzione e disciplina.

E le bambine?

Ancora una volta gli oggetti ci svelano il quesito. Lapidi, tombe e giocattoli. Nella Roma Imperiale la bambola, detta pupa (diminuitivo di pupilla), era un oggetto molto diffuso anche tra la plebe. Riproducevano la figura femminile adulta, a volte raffiguravano le fattezze delle dee Venere, Proserpina o Vesta.
Ogni bambina possedeva una bambola, da cui si separava alla vigilia delle sue nozze, celebrando una cerimonia: lasciava il suo balocco nei templi, offrendola alle divinità che proteggevano il focolare e la famiglia. Le bambole simboleggiavano l’infanzia delle bambine, l’atto di abbandonarle segnava il passaggio nel mondo degli adulti.

Si sposavano giovanissime, matrimoni prestabiliti e purtroppo anche consumati. Bambini lavoratori e spose bambine ci fanno capire che l’infanzia era un’età brutale. Infanzia dura e più breve di quella attuale. Non esisteva un’era di transizione, niente  divertimenti per i bambini che riproducevano esattamente il mondo degli adulti. Una relazione genitore-figlio devastata spesso dalla morte. Una tragedia che non lasciava indifferenti. Il progetto di avere figli era rischioso.  In un mondo con scarse cure mediche e dove le malattie erano causate dagli dei, per cui a loro bisognava rivolgersi per la guarigione, difficile portare avanti una gravidanza. A Pompei, il reperto ginecologico spectrum con annesso uncino ci rivela che in caso di parti difficili,  per togliere il feto, veniva agganciato dal cervello. Insomma gli uomini morivano in guerra ma, le donne  di parto.

E gli schiavi?

Strisce di ferro legavano il collo con medaglie sulle quali era inciso il nome del padrone di appartenenza. La fuga era un sogno.  La schiavità era parte integrante della cultura romana, erano presenti in abbondanza, tutti possedevano schiavi anche i poveri. Ma c’era  rispetto e a volte amore. Il matrimonio era anche un modo per guadaganrsi la libertà, ne furono liberati a migliaia. Svolgevano un ruolo importante nell’ambito della società romana. Secondo il diritto romano lo schiavo era considerato un oggetto , i loro corpi erano a disposizione dei padroni che li usavano a loro piacimento. Nel privato esisteva una grande libertà sessuale. Basta guardare Pompei dove le raffigurazioni di amplessi sessuali non adornavano solo i postriboli ma anche le camere da letto delle famiglie. La prostituzione era molto diffusa e tollerata. Le prostitute erano si usate ma non disprezzate come oggi. Gli schiavi erano parte integrante del nucleo familiare, vivevano insieme e venivano sepolti insieme.

Questa in poche parole era la famiglia romana, la vita delle persone comuni poteva essere meravigliosa o terribilmente complicata, proprio come noi, eredi di un tale passato.