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by Loretta Dalola


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Dal libro al computer


Un servizio del Tg2 ci porta a riflettere sulla condizione delle ultime generazioni  che stanno diventando completamente schiave della tecnologia. Sempre più dipendenti dal cellulare e dal computer. Vivono costantemente attaccati alla rete. Lo attesta l’ultima Indagine condotta da Eurispes e Telefono Azzurro sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza 2011.

E’ il ritratto dei giovani supertecnologici. Dati allarmanti sul rischio cyber-dipendenza soprattutto nella fascia 12-15 anni: il 42,5% controlla continuamente la posta elettronica o Facebook sperando che qualcuno gli abbia inviato un messaggio. Internet la fa da padrone, ma anche del cellulare non possono fare a meno, alcuni ne hanno più di uno e ci passano gran parte della giornata tra messaggi e chiamate. La metà dei ragazzi (49,9%) dichiara di perdere la cognizione del tempo quando è online, dimenticandosi di fare altre cose e uno su 5 si sente irrequieto, nervoso e triste se non può accedere alla rete.

Facebook è il social network più amato: quasi tutti hanno un profilo e ben l’85,6% dei ragazzi dai 12 ai 18 anni lo utilizza, 7 su 10 si connettono tutti i giorni, molti hanno più di 500 amici e più della metà di loro (il 54%) “colloquia” abitualmente con persone sconosciute.

Al giorno d’oggi i ragazzi vivono “collegati”. E’ la nuova droga, iniettata nel cervello e alla portata di tutti: non costa nulla perché la connessione è pagata  da papà, non sembra creare problemi alla salute, e tanti genitori lasciano fare. Affetti da dipendenza psicologica dal web, che si manifesta con caratteristiche specifiche, come il bisogno di rimanere connessi alla Rete il maggior tempo possibile e la presenza di sintomi di astinenza ((irascibilità, depressione, ansia, angoscia, insonnia).

E pensare che la mia è stata la generazione della “tvdipendenza”, dove il pericolo era  passare troppe ore davanti al televisore, che ti immergeva in un mondo fantastico e irreale, ma accanto a questo strumento elettronico esisteva ancora un mondo di pensieri scritti sulla carta  e amicizia vera, umana, tangibile.   Ora il tempo della concentrazione della lettura è stato rimpiazzato dalle vibrazioni velocissime dei bit che ti connettono al mondo e gli amici sono virtuali. Saper aspettare e il contatto  umano sono  nozioni che il nostro tempo sembra aver dimenticato.  Facebook ridefinisce il concetto di “amicizia” tra reale e virtuale. Finita anche l’era delle lunghe conversazioni al telefono, i ragazzi amano soprattutto parlare via sms. Un mondo che ha spezzato la comunicazione sintetizzandola al massimo. Un mondo di ragazzi catturati dalla rete, incapaci di vivere senza.

Internet ha di fatto sostituito per gli adolescenti italiani la tv, la lettura, lo sport, il telefono e il cinema, diventando di fatto una esperienza totalizzante. Un “luogo virtuale” in cui ci si sente più a proprio agio che nella “vita reale”, o che consente di “sfuggire” dai problemi e dalle difficoltà del quotidiano. Usando gli strumenti più economici e veloci che ti intrioettano  in un mondo di applicazioni che permettono di chattare molto più rapidamente.Confusi e infelici, vivono la  tecnologia come un prolungamento del proprio essere. Internet per non pensare e per sentirsi meglio; un “luogo virtuale” in cui ci si sente più a proprio agio che nella “vita reale”, o che consente di “sfuggire” dai problemi e dalle difficoltà del quotidiano.

Una generazione che si allontana sempre più dal rapporto parentale e i genitori  non sempre dispongono degli strumenti per comprenderli appieno e per inserirli nel dialogo educativo. La funzione educativa oggi risulta  più faticosa che in passato perché il competitor è una società che è sempre più tecnologica, frenetica e frammentata. La consapevolezza dei rischi connessi ad un utilizzo acritico della Rete è un obiettivo da raggiungere non solo con i ragazzi, ma soprattutto con gli adulti che stanno loro accanto.

Noi siamo stati i “figli di Gutenberg” loro sono i “nativi digitali”, vanno educati ai nuovi media,  aiutati a riconnettersi con la realtà e a usufruire dei mezzi tecnologici come strumenti non come sostituti.

 


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Come è cambiata la nostra società?


 Corrado Augias ripropone “Le Storie diario italiano”. Appuntamento quotidiano, su Rai3. Uno spazio ridotto, pochi amici, pochi spettatori in studio, spesso molto giovani, un salotto intimo con due poltrone, sulle quali si discute, si ragiona e ci si ferma a riflettere con Corrado Augias di letteratura, storia, politica e filosofia. Con gli autori del libro: “Cose da non credere, il senso comune alla prova dei numeri”, si parte, insieme, analizzando i profondi cambiamenti che hanno coinvolto la nostra società negli ultimi tempi. Dalla famiglia al sesso, dagli immigrati alle pensioni, l’Italia sta affrontando una vera e propria rivoluzione demografica. Ne discutono in studio il sociologo Gianpiero Dalla Zuanna e l’economista Guglielmo Weber.

L’intervista-colloquio analizza e confuta i miti e i pregiudizi che nel nostro paese ostacolano una gestione corretta dei cambiamenti. Lo fanno attraverso un’analisi attenta della realtà, così come rappresentata dai dati. Perché il senso comune si nutre di miti, il buon senso di fatti. E così si arriva a capire perché dalla rivoluzione sentimentale siamo passati all’indebolimento delle istituzioni. La visione, oggi, del matrimonio, non arriva più fino alla morte. I matrimoni celebrati in Italia nel 2005 sono stati poco più di 243.000, contro i 419.000 del 1972. È, inoltre, aumentata l’età media in cui ci si sposa. Oggi gli uomini arrivano alle nozze intorno ai 32 anni e le donne a 30, mentre per tutti gli anni settanta, l’età media al matrimonio era di circa 27 anni per gli uomini e inferiore ai 24 per le donne. Se il numero dei matrimoni totali diminuisce, aumenta la percentuale di quelli civili; nel 2006 hanno rappresentato il 34% delle unioni, contro poco più del 20% del 1996. Gli italiani comunque continuano ad amare molto la cerimonia religiosa.

L’aumento delle separazioni è del 20%. Ma quali sono le cause dello scioglimento di un matrimonio? Non esistono statistiche ufficiali sul tema. La coppia, la famiglia continua ad essere il fine e l’obiettivo di ogni uomo e di ogni donna. E’ l’istituto del matrimonio ad essere in crisi, infatti molti sono i conviventi. Alcune cause che hanno portato gli italiani a decidere di non sposarsi o di farlo più tardi, sono la crisi economica, l’aumento delle unioni di fatto e la situazione dei giovani che sono in difficoltà nella ricerca del lavoro e della casa. Insomma, considerato il costo esagerato dei matrimoni, le coppie giovani preferiscono decisamente la convivenza o allungare comunque la permanenza nella famiglia d’origine. Non a caso a crollare sono proprio le prime nozze.

Ma anche la conquista del lavoro e della propria autonomia fa si che la donna ritenga naturale lavorare e non veda più nell’unione matrimoniale la sua unica realizzazione. Anche se di fatto è una rivoluzione che in Italia, deve ancora avvenire realmente, perché nel tempo le ragioni familiari prevalgono e portano la donna inevitabilmente a fare altre scelte. Un esempio su tutti, il campo della medicina che vede il numero delle iscrizioni alle facoltà universitarie, con prevalenza femminile, ma di fatto i chirurghi sono al maschile, mentre abbondano le pediatre, più vicine al mondo familiare.

Di fondo il ruolo radicato della donna è difficile da modificare. Resta sempre un’ottima moglie e madre, ma anche badante per genitori e suoceri, mentre agli uomini spettano ruoli più prestigiosi nel mercato del lavoro e con stipendi più alti. Il tasso di occupazione femminile stenta a crescere ed anzi, dopo la crisi finanziaria globale, rischia di rimanere a livelli molto bassi. Mancano le strutture di supporto, come i servizi sociali, asili nido e assistenza domiciliare, che però da soli, non risolvono più il problema. Occorrono oggi politiche economiche più coraggiose e lungimiranti che, stimolando lo sviluppo, tengano nel dovuto conto l’apporto produttivo delle donne, soprattutto nel momento in cui l’Europa ci chiede di equiparare l’età pensionabile di uomini e donne dipendenti della PA.

E’ quindi necessario affrontare tale problematica in una prospettiva integrata, che preveda una molteplicità di interventi, al centro dei quali deve probabilmente essere posta la questione della qualità e dell’efficacia dei servizi pubblici erogati nei confronti della famiglia. Per la ripresa dello sviluppo economico, il contributo delle donne è fondamentale oggi esattamente come è stato storicamente nel passato in situazioni di crisi non molto dissimili dall’attuale.

Non ci sono più le famiglie di una volta”; “Stiamo diventando sempre più vecchi: ci aspetta un futuro di povertà”; “Gli italiani non vogliono più avere bambini”; “L’unico investimento sicuro è il mattone”; “Nel nostro paese ci sono troppi immigrati”: sono alcuni dei luoghi comuni che ascoltiamo ogni giorno. Luoghi comuni basati su paure e incertezze per le possibili conseguenze di alcuni cambiamenti della nostra società, fra cui la sempre maggiore longevità e l’aumento delle migrazioni globali. Nel clima di vera e propria rivoluzione demografica che sta toccando tutti i momenti cardine della vita degli italiani, la prima sfida che bisogna affrontare è alle mentalità individuali. La cultura che porta a vedere nello straniero il “pericolo”, quando al contraio se la loro presenza in Italia fosse cancellata ci si troverebbe di fronte ad un paese paralizzato, perchè i tanto combattuti immigrati, di fatto producono l’11% del prodotto italiano e contribuiscono all’Inps molto più degli italiani. Dunque fondamentale è sconfiggere il razzismo radicato e arrivare al “festival della mente” che ci permetta di vivere in una serena convivenza.

In conclusione, molto cammino resta da fare, e molti miti sono ancora da sfatare.


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Morte sotto le macerie


Enrico Mentana usa le parole più appropriate  per descrivere la strage di Barletta:” E’ una vergogna, lavoravano per 4€ all’ora, le donne che sono rimaste schiacciate dalle macerie a Barletta”…Lavoravano in nero, per poter vivere, anzi per sopravvivere nel sud,  per pagare il mutuo della casa o semplicemente fare benzina e entrare al supermercato.  In quel laboratorio di confezioni cucivano magliette e tute da ginnastica lavoravano dalle 8 alle 14 ore secondo richiesta, sedite alla macchina fino al momento in cui il soffitto è venuto giù.

Una storia tipicamente italiana, in un paese in piena crisi che denuncia da una parte, stipendi, pensioni d’oro, feste, sesso e truffe varie e contemporaneamente piange le vittime di quel mondo femminile costretto a combattere e a  darsi da fare per dare una mano ai risicati bilanci di famiglia.

Una tragedia annunciata in quella palazzina fatiscente, piena di crepe e scricchiolii, che per Matilde, Giovanna, Antonella, Tina, è  diventata la loro  tomba. Giovani donne che si rimboccavano le maniche per avere qualche soldo in tasca e realizzare il sogno di una vita semplice e tranquilla. Sono morte  mentre erano al lavoro, travolte dalle tonnellate di macerie,  insieme alla figlia 14enne della coppia di proprietari della piccola azienda.

Destino ha voluto che la piccola rientrasse da scuola un’ora prima e che si fosse diretta proprio nel laboratorio. Destino ha voluto che i genitori si siano salvati perché erano andati a trovare in ospedale l’anziana madre dell’uomo. Destino ha voluto che un’altra donna, incinta, venisse risparmiata e solo ferita, destino che poteva essere evitato se solo non ci fosse la necessita di sopravvivere, se solo l’ncertezza del domani non costringesse a dire addio alla stagione dei diritti da tempo sacrificato alle condizioni della precarietà.

Lavoro nero, fuori legge, ma pur sempre un lavoro, in questa Italia squilibrata dall’ingiustizia. E anche il sindaco di Barletta, Nicola Maffei, è di questo avviso: “Non mi stento di criminalizzare chi, dice, in un momento come questo viola la legge, assicurando, però, lavoro a patto che non si speculi sulla vita delle persone”.  Nessuno ha sgomberato l’immobile, nonostante l’evidente stato di degrado, con crepe visibili da tempo, ma che erano aumentate nelle ultime settimane, tutti hanno continuato a rincorrere penosamente quei 4€ bagnati di sudore e miseria. Una sciagura piena di rabbia  e dolore. Inaccettabile ora, a tragedia avvenuta, ma per chi fa fatica a sopravvivere come le giovani donne che sono state ingoiate dal cemento era semplicemente un dato di fatto, una quotidianità, era la loro realtà di vita.

 


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La libertà di stampa non si tocca


Il tam tam del web è arrivato anche nelle piazze. La protesta contro il disegno di legge sulle intercettazioni  si è concretizzata in Piazza del Pantheon a Roma. Organizzata dal “Comitato per la libertà e il diritto all’informazione, alla cultura e allo spettacolo”, per dire no all’ennesima legge ad personam confezionata per salvare Berlusconi dai suoi processi. Da ‘Viva la libertà’ a ‘Basta, fermiamoli’, i post it indossati e distribuiti in piazza del Pantheon alla manifestazione contro il disegno di legge.

L’web da giorni  compatto diffonde l’allarme che si allarga ora dopo ora. In migliaia protestano contro la decisione della maggioranza parlamentare di riproporre la legge bavaglio. Video, post, commenti, diffusioni di documenti e di vademecum per comprendere i punti critici del provvedimento.

Proprio il versante della blogosfera è tra i più attivi. Infatti, il provvedimento sulle intercettazioni contiene ancora al suo interno la norma “ammazza-blog”. A fare da cassa di risonanza in Rete per la mobilitazione contro la norma ammazza blog è Valigia Blu, il collettivo di attivisti per “la dignità dei giornalisti e il rispetto dei cittadini” rappresentato da Arianna Ciccone, sentinella contro la legge bavaglio sin da quando iniziò il dibattito sul ddl.

Riparte così la campagna dei post-it. Mandate una foto con la scritta:

LEGGE BAVAGLIO
CI RIPROVANO.
FERMIAMOLI

Le immagini vanno spedite all’indirizzo mail leggebavaglio@repubblica.it 1.



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Camminare verso la pace


Tg3 nei giorni precedenti all’evento ha diffuso la notizia relativa al nuovo e rinnovato appuntamento  della Marcia Perugia-Assisi per la pace e la fratellanza dei popoli. 24 Km d’amore verso Assisi…Un corteo di persone che raggiungendo  la città della pace francescana, diffondono compatte, il nobile obiettivo. Partendo dal centro storico di Perugia in un itinerario di circa 8 ore di cammino, seguite in diretta, la domenica,  dalle telecamere di Rai 3,

Esattamente come cinquant’anni fa, migliaia di persone inaugurarono questo storico e pacifico percorso, oggi, come allora, i chilometri d’asfalto, divengono un simbolo unificatore, una  lunghissima aula didattica dove ciascuno può percorrerli, raccogliendo idee, proposte e riflessioni utili per un futuro di  pace, intercultura, legalità e ambiente. Siamo sempre più consapevoli che, intorno al concetto di pace, ruotano significati più ampi: nonviolenza, giustizia, libertà, diritti umani, responsabilità e speranza. Come in passato, anche  l’edizione del 2011  si carica di senso. Nel 1961, durante la prima Marcia, organizzata da Aldo Capitini, venne usata per la prima volta la Bandiera della Pace così come la conosciamo oggi, con i 7 colori dell’arcobaleno, disposti orizzontalmente, dai più freddi ai più caldi. E proprio per festeggiare questo anniversario, la XIX Marcia per la Pace Perugia-Assisi avrà lo stesso tema della prima: “Per la pace e la fratellanza tra i popoli“.

Persone che da ogni parte del mondo, unite nello spirito e nei valori, sfilano per le vie cittadine, impegnate nella lotta alla povertà, per la giustizia sociale, per l’uguaglianza dei diritti dei popoli, contro le discriminazioni di sesso, religione e razza. Cittadini qualsiasi, realtà umane diverse,  che credono in un metodo nuovo di stare assieme. Senza pace non c’è futuro, per l’umanità. Dobbiamo recuperare i temi principali, per salvare l’uomo. Pace, lavoro e futuro.Temi importanti, carichi di tensioni politiche ed  economiche, una battaglia comune molto difficile e dentro la marcia c’è tutto questo.  Camminare insieme,  verso uno stile di vita,  diretti ad una  meta unica, quella di  una reciproca comprensione.

Dunque una pace in senso lato che affratella tutti, nei colori degli striscioni e delle bandiere. Molti gli slogan  che hanno animato il lungo corteo. Un pensiero particolare alle migliaia di  persone morte quest’anno in mare per arrivare nel nostro Paese.  Sono arrivati  da tutta Italia. Le maglie sgargianti, la luce dei  loro sorrisi, sono i segnali che ci conducono a camminare verso la crescita, perché la pace non si predica, ma si pratica. Guerre vere, combattute realmente da talebani, tunisini, libici, palestinesi si mescolano a guerre quotidiane, combatture in nome del lavoro, della scuola, della ricrescita, in questo  anno di transizione  che collegherà il futuro al benessere comune. Scelte coraggiose, dovranno essere fatte, nella politica di tutti i giorni, dentro una relazione educativa dove giace l’immensa potenza di ciò che non è potere politico, con l’obiettivo di raggiungere una serena quotidianità futura. Il nostro orizzonte dovrà confrontarsi con i sentimenti profondi dell’uomo, verrà giocato nell’intimo delle coscienze, nello spazio del “cuore”, lì dove l’uomo fa le sue scelte, optando per l’egoismo o per l’altruismo; per gli interessi di parte o per il bene comune; per una vita solo materiale o per una vita improntata ai grandi ideali; per una concezione “piccola” dell’appartenenza territoriale, etnica e culturale, o per  una concezione “grande” che, senza rinunciare alle identità, sa però integrarle nel  più vasto orizzonte della fratellanza universale.

Questa marcia,  appartiene  a un unico orizzonte ideale. Non c’è pace, se non alziamo lo sguardo verso un mondo globalizzato, che ci vede  sigillati nell’alleanza con gli uomini e con la natura,

 

 


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Vicini al traguardo


Prosegue la raccolta firme per il referendum che vuole cambiare la legge Porcellum. TG 2 dedica un servizio per informare i cittadini che restano pochi giorni. Il tempo stringe, ma l’operazione sembra ben avviata per raggiungere il “primo” quorum. Entro il 30 settembre si può andare presso il proprio comune e firmare a favore del Referendum per l’abrogazione dell’attuale legge elettorale, che consente ai capi di partito di scegliere chi mandare in Parlamento. Un Parlamento di nominati che non rispondono al popolo.

“Io Firmo. Riprendiamoci il voto” è lo slogan del Comitato referendario che ha lanciato una  raccolta firme per eliminare la legge elettorale voluta dal Governo in carica che prevede le liste bloccate, premio di maggioranza, deroghe alla soglia di sbarramento, obbligo di indicazione del candidato premier. Una legge, studiata da Roberto Calderoli, introdotta nel 2005 per depotenziare la legge Mattarella.

“La legge c’è, ma è una porcata” sibilò il suo creatore. Il porcellum è un sistema anticostituzionale. Con la mancata possibilità di scegliere un nominativo all’interno delle liste, finisce che si vota per il partito che ha già stabilito, in maniera del tutto antidemocratica, la propria lista elettorale. L’elezione dei parlamentari dipende quindi solo dalle scelte dei partiti.

In caso di vittoria dei si, all’ipotetico referendum, la Camera sarebbe eletta con metodo proporzionale, senza premio di maggioranza e con una soglia di sbarramento al 4%. Gli eletti, non sarebbero piu’ nominati dai partiti ma scelti tra i candidati con la preferenza unica.

Abbiamo ancora nelle orecchie,  tutti i dibattiti realtivi al recente salvataggio di Milanese che, chiaramemte è il risultato politico di un voto di scambio.  Un governo che legittima se processare o meno chi delinque, scavalcando gli organi giudiziari è un governo di potere, che si permette di bypassare la giustizia, e in democrazia è grave .

Il termine per depositare in Corte di Cassazione le necessarie 500mila firme è fissato al 30 settembre – Firme permettendo dunque, l’appuntamento contro il Porcellum sarà, con tutta probabilità, per la prossima primavera.

Se pensi di dover essere tu a scegliere chi ti deve rappresentare, vai a firmare.


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Interesse alto per chi uccide


Gli interrogativi che si pongono Milo Infante,  Lorena Bianchetti, e gli ospiti in studio, su Italia sul 2 ,(programma tenuto a battesimo ormai quasi dieci anni fa da Monica Leofreddi) vertono sugli aspetti psicologici dell’animo umano . Perché tanto interesse per chi uccide? Cosa spinge la gente a indagare nella mente degli assassini? Cronaca: poco interesse per le vittime?

Tanti i volti degli assassini che divengono “famosi”, e che rimangono impressi nella memoria collettiva, meno quelli correlati alle vittime che oltre a non avere più voce, lasciano l’immenso vuoto di un’assenza crudele e impensata. Uccidere una persona, significa, uccidere un mondo intero, distruggere le vite dei familiari che vengono condannati ad un’esistenza di dolore. L’assassino dopo aver scontato la sua pena, può comunque avere un futuro. I familiari delle vittime no. Vengono condannati all’ergastolo del dolore.

Dietro i canoni della comunicazione esiste il meccanismo della notorietà che fa audience, essere cattivi ha più charme e si diventa fenomeni come : Vallanzasca, Misseri, Masi, Parolisi, Italia sul Due - Torna la cronaca nera. Col truccoErika, Amanda, che tra l’altro ricevono miglaia di lettere di ammiratori e anche proposte di matrimonio. Dunque, fascino diabolico, certo malefico, ma che attira e  fa amare gli idoli del male. Presenze seduttive che non sanno veramente amare, se non se stessi. Scaltri, bugiardi, fieri di come riescono ad inquinare le prove dei loro misfatti, eppure, riescono a sfocare le immagini delle loro vittime, a metterle diciamo in secondo piano.

Divengono star, perché tutto fa spettacolo, in un contemporaneo turbinio confuso dove  bene  e male perdono i  loro netti connotati?

Assassini  oggetto di un’attenzione spasmodica mediatica, una moda agghiacciante, un interesse accresciuto anche grazie a minuziose e atroci descrizioni dei delitti che stimolano  la curiosità e suscitando scalpore, un meccanismo che crea la classifica dei delitti distinguendoli di serie A e B.  La stragrande maggioranza degli eventi di cronaca nera non trova il minimo spazio sui media nazionali, suscitano qualche attenzione sulla stampa o le tv locali e poi finiscono nel dimenticatoio collettivo. Eppure una piccola percentuale di questi fatti, riesce a conquistare per lunghi periodi l’attenzione dei principali mezzi di informazione, con la televisione che  dedica ore e ore di programmazione al racconto del delitto, alla caratterizzazione dei personaggi, allo sviluppo delle indagini e ai veri o presunti colpi di scena.

Cos’è, in altre parole, che consente a un omicidio su cento di diventare centrale nel discorso pubblico e di godere di una continua attenzione mediatica?

Delitti che fanno vibrare le corde basse dell’attenzione, il triste gioco collettivo,  che riescono a far  emergere la parte oscura dell’uomo, qualcosa di sessualmente accattivante: il  male, che  è dentro ognuno di noi,  che seduce e si rifiuta al contempo, due facce ben distinte. L’assassino è lontano dalla normalità è qualcosa di sconosciuto che suscita curiosità e scatena morbosità. Tra l’assassino e la morte si intrecciano tutte le dinamiche umane che ci coinvolgono, ed ecco che sul palcoscenico della vita c’è un attore, la morte, che smette di recitare, e un altro, l’assassino, che inizia la sua parte da protagonista e il pubblico guarda.

Il  delitto, allora,  entra nelle regole della comunicazione, monopolizza l’attenzione della stampa, la vittima non può più dir nulla, dall’assassino invece ci si aspetta il colpo di scena, la confessione, la prova regina, e il dubbio anima l’attenzione.  Melania, Sarah, Yara, Tommy, Novi Ligure, Cogne, Garlasco, Perugia e altri,  tutti presentano  caratteristiche che rispondono perfettamente ai canoni del giallo: sono  storie che potrebbero essere sfruttate per scrivere un poliziesco di successo o costruire una trama avvincente per un thriller destinato al piccolo o al grande schermo.

Delitti di particolare violenza ed efferatezza, che avvengono in ambito domestico all’interno di famiglie apparentemente “modello”  che riguardano vittime giovani e indifese, magari donne e ragazze, in cui è quasi sempre presente un movente di tipo sessuale, magari inconfessabile perché di natura deviata. Casi che possiedono degli ingredienti funzionali alla drammatizzazione e alla suspense, quindi appetibili per i media che possono così attrarre lo sterminato pubblico. In effetti, quando il giallo finisce, crolla anche l’attenzione. Un vissuto in cui ci si scarica.  Il pericolo è che stiamo costruendo una società contemporanea che ha sdoganato il male, l’informazione si trasforma in intrattenimento, e “gioca” con le vite delle persone, gli assassini divengono gli Scamarcio e i Kim Rossi Staurt,  il pubblico viene educato a spogliarsi di qualsiasi sentimento di pietà per le vittime e a partecipare a un collettivo e inquietante modello da imitare, dove il male vince e diviene affascinante e irresistibile…


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Eredi animali


Tommasino, è proprietario di ville, terreni e ogni bene, per un valore di dieci milioni di euro. Una  danarosa nobildonna romana ha  lasciato tutti questi soldi in eredità a Tommasino che non è un rampollo di sangue blu di una nobile casata, ma il suo adorato gatto, dal musetto simpatico e dal pelo rosso che ora si aggira tranquillo e beato tra i suoi possedimenti.

Non c’è, in verità bisogno di ricorrere alla fantasia disneyana degli Aristogatti, per incontrare quadrupedi o alati beneficiari di fortune. È ciò che è accaduto a Günther III, il pastore tedesco che nel 1992 ereditò una fortuna (oltre 150 milioni di marchi, circa 65 milioni di euro) dalla sua padrona, la contessa tedesca Carlotta Liebenstein. Oggi Günther IV (figlio di Günther III, deceduto nel frattempo) è `titolare` di una fortuna cresciuta fino a 200 milioni di euro. Vicenda simile ma reale, quella di Michele, il soriano che ha ereditato un immobile da 1 milione di euro dal suo agiato proprietario milanese, scatenando una battaglia legale senza tregua. A Londra troviamo Tinker, il gatto che ha ereditato ben 750.000 euro, senza muovere una vibrissa e senza che gli inglesi si sorprendessero (ogatto eredità peggio litigassero) per questo.

Secondo i dati di un sondaggio dell’AIDAA circa il 20% di tremila famiglia italiane vorrebbe stanziare nella propria eredità una cifra per il mantenimento del proprio animale.E’ necessario chiarire subito che in Italia, cani, gatti e altri animali domestici non sono soggetti giuridici, ma proprietà, e quindi non possono essere nominati eredi diretti. Da noi, possono diventare beneficiari di un testamento. In questi casi si designa una persona (fisica o giuridica) che amministra l’eredità e assicura a Fido o Micio vitto e alloggio.

La solitudine di cui  sono vittime le persone nella nostra moderna società è spesso alleviata dalla presenza di un animale domestico. Chi non ha figli o dopo la morte del proprio compagno/a  rimane completamente solo al mondo, o ancora, quando figli o nipoti non dimostrano l’affetto  desiderato, l’incontro fortuito con un rappresentante peloso  aiuta a rendere più leggere e meno solitarie le giornate. Pur non essendo un uomo, l’animale  è capace di infondere quel calore umano di cui ognuno ha tremendamente bisogno ed ecco spiegata la conseguente gratitudine monetaria. Pertanto, oltre a, coccolare, viziare, baciare i nostri amici pelosi possiamo anche diseredare parenti ingrati e affidare i nostri beni terreni a coloro che hanno riempito e ricambiato le nostre giornate di amore e attenzione.

L'Abbandono degli AnimaliQualcuno può considerarli esempi di eccesso di affetto che però vanno a compensare o riequilibrare la crudeltà o l’indifferenza di tanti umani. Pensiamo che ogni anno spariscono nel nulla migliaia di cani. Abbandonati in strada o autostrade, rubati su commissione, finiscono ad alimentare l’allevamento di cani da combattimento o come cavie da laboratorio.

Se l‘abbandono indiscriminato degli animali dovuto a una diffusa mancanza di sensibilità nei confronti dei nostri amici a quattro zampe, è una piaga che ha trovato un pò di sollievo nelle attuali leggi e nell’iscrizione anagrafica, percontro, numerosi proprietari  li detengono in condizioni pessime e disumane, incatenati a vita, o costretti ad una esistenza di indigenza, ingiustificabile.

La crudeltà contro gli animali non ha specie o razze, va da cani, gatti e polli costretti a combattere, fino a cavalli drogati per vincere o agnelli e vacche imbottiti di ormoni per una produzione maggiore di cibo.

Il problema è purtroppo molto esteso, le aziende vedono negli animali solo una fonte di guadagno e non ne curano il benessere, le famiglie vedono negli animali, compagnia, almeno finché non diventano un impiccio e la crudeltà è considerata una soluzione accettabile solo perché questi esseri non hanno ancora trovato un modo di farcela pagare.

Allora se sono in molti a scegliere di destinare il proprio denaro ad un animale fedele amico e compagno di una vita insieme, non meravigliamoci o non condanniamo il gesto, perché spesso il loro cuore è più grande del nostro.

TESTAMENTO DI UN CANE

“Amico mio, la mia eredità non e’ fatta di beni materiali,
ma resteranno tuoi per sempre l’allegria, la gioia di vivere,
il rispetto che spero di averti insegnato in tanti anni di vita in comune.
Se sono riuscito a spiegarti cos’è l’amore di un cane e tu sarai capace di regalare

un amore che gli assomigli anche solo un po’ – a qualsiasi essere vivente,
uomo o animale che sia – spero di averti lasciato un bene inestimabile
e scodinzolerò  felice tra le nuvole.
Una raccomandazione: non provare a dimenticarmi, non ci riusciresti…
e non dire: “Basta animali, ho sofferto troppo”; se lo dicessi,
vorrebbe dire che non ti ho lasciato nulla.
Se ti ho insegnato l’amore dimostramelo, offrendolo ad un altro animale:
ti darà anche lui tenerezza, allegria ed ancora amore.
E alla fine ti lascerà un testamento come questo.
Cosa? senza accorgertene, continuerai ad imparare e crescere,
ed un giorno ci ritroveremo tutti insieme in un unico paradiso,
perché non c’è un Paradiso per gli uomini ed un Paradiso per gli animali,
ce n’è uno solo per tutti quelli che hanno imparato ad amare”


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I ricchi non conoscono crisi


Se in tempi non molto lontani la riscossa del popolo risiedeva in una telenovela messicana dal titolo: “Anche i ricchi piangono”,  oggi, la crisi la subisce soltanto la gente comune se, come afferma un servizio della storica rubrica Tg2 Costume e società, in onda non stop d’estate che propone non solo  contenuti “vacanzieri”, con il titolo E… state con costume, 5 stelle non bastano più.

I ricchi vogliono di più, insieme al lusso sfrenato vogliono anche il mercato del superlusso, così in Francia, al Plaza Athénée, a due passi dagli Champs-Elysées, hanno convocato i dipendenti per un brindisi. Per festeggiare un luglio eccezionale. Il mese scorso il tasso di occupazione dell’albergo è ritornato sopra il 95 per cento. E le tariffe medie a camera hanno superato il livello dei mille euro al giorno.

I “Palaces”, come vengono chiamati a Parigi gli alberghi sul tipo del Plaza Athénée, vanno al di là dei “normali” cinque stelle. Localizzati in palazzi d’epoca, fra tripudi di lustri dorati e hi-tech, offrono il meglio al proprio cliente, perfino il maggiordomo o la bambinaia poliglotta. O l’uscita segreta anti-paparazzi per i Vip, quelli veri.

Una magnificenza architettonica che include anche la storia (compresa nel prezzo), dimore e castelli d’epoca, che attendono  un ceto di privilegiati il cui unico problema sembra essere quello di spendere più denaro possibile, come Palazzo Viviani a Montegridolfo. Castello che si erge su quella linea che allora delimitava i possedimenti delle casate dei Malatesta di Rimini e dei Montefeltro, signori della vicina Urbino, che offre oltre al suggestivo paesaggio romagnolo, otto eleganti ed esclusive suite dagli arredi antichi, stanze dotate ognuna di  propria personalità ed impreziosite da dettagli ricercati, nella dimora gentilizia, dall’atmosfera raffinata, suggestiva e pure accogliente…con servizi che vanno dai massaggi nel centro benessere, alle terrazze elioterapiche, con piscina scoperta e degustazione vini e gastronomica, parco, giardino, sala lettura, sauna, palestra, tutto a partire da 1000,00€ a notte con sconto per tre notti!

Ma in Italia le dimore lussuose non sono finite, Palazzo della Gherardesca, affacciato su oltre quattro ettari di parco secolare che fa sembrare la città di Firenze lontanissima, è pronto a far rivivere gli antichi splendori durante i pernottamenti del suo turismo d’élite. Maioliche dipinte a mano da Ignazio Chiaiese, qua e là una carta da parati cinese del ‘ 700, ovunque affreschi che raccontano la gloriosa storia degli antichi padroni di casa. Nella Royal Suite i pomelli del bagno non sono d’ oro ma d’argento (questione di classe, non certo di economia): una notte qui viene a costare qualcosa come 13.500 euro, ma tranquilli, ci sono anche stanze più “modeste” per soli 500 euro.

Tesori architettonici a disposizione della clientela d’eccellenza che includono anche attività professionali decisamente inconsuete come i “pulitori di monete” assunti appositamente per lucidare gli spiccioli che possono lasciare sgradevoli tracce sui guanti delle signore, o la “fata madrina”, che ha come compito quello di trasformare i sogni romantici in realtà, spargendo petali di rose rosse sul talamo amoroso o scaldandolo per non raffreddare gli ormoni degli illustri amanti. Cosa non si fa per non deludere i clienti…e pensare che c’è gente che per andare da Rimini a Catania in aereo con la compagnia Win jet ha impiegato 17 ore, seduto su sedili di plastica, senza acqua o coperte. Privilegi degni di categorie umane decisamente più economiche.

Crisi finita, o mai iniziata, dunque, per i super ricchi dalle mille euro a suite per una notte! Gli esperti sottolineano che in questo settore la nuova offerta genera nuova domanda, tanto più che esistono molti clienti potenziali, soprattutto cinesi e indiani, che si aggiungono continuamente alla famiglia mondiale dei superricchi. Sta di fatto che gli investimenti relativi ai  nuovi palaces sono già iniziati.  Dopo i record battuti in luglio dal Plaza Athénée appare chiaro che il settore ha recuperato dinamismo, che il ceto medio sta per dissolversi e che  la crisi non è mai esistita almeno per alcuni.


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Viaggio della speranza finito a colpi di bastone


Tg2: Esito choc sulla  notizia relativa alla tradegia dell’ultimo sbarco a Lampedusa. Sui corpi i segni dei colpi subiti. Uno scenario terribile che pian piano emerge dalle testimonianze e dall’autopsia: due delle 25 vittime  sarebbero morti per le percosse subite. A rivelarlo appunto l’autopsia disposta dalla procura di Agrigento che sulla tragedia ha aperto un’inchiesta.

Uomini che stavano soffocando e che sono stati ricacciati dentro con la forza a colpi di bastone in quello spazio che sarebbe diventata la loro tomba.

Un viaggio verso la libertà firmato dalla crudeltà umana.

Le evidenti lesioni su due cadaveri, gli schizzi di sangue ovunque nella stiva dove erano ammassati 25 corpi, ormai in stato di decomposizione, hanno indotto gli inquirenti a pensare che almeno per due persone il decesso è stato provocato  non solo dal soffocamento, ma anche dalle percosse.

Viaggiavano come prigionieri i migranti trovati morti nella stiva di un barcone diretto a Lampedusa.  Tutti ragazzi tra i 25 e 30 anni. Vietato salire in coperta per il timore che l’imbarcazione,  stracarica, si rovesciasse in mare. Chiusi in una botola angusta, di due metri per tre, senza oblò ne prese d’aria.  Hanno cominciato  ad avere difficoltà respiratorie e a gridare, ma senza risultato. Uno di loro, uscito sul ponte durante la traversata, per punizione, sarebbe stato scaraventato in mare. Il conto delle vittime del tragico viaggio salirebbe così a 26.  Venticinque cadaveri su un carico di 268 extracomunitari tra cui 36 donne e 21 bambini. Il natante, lungo una quindicina di metri è salpato dalla Libia,  avvistato da un elicottero della Guardia di finanza e raggiunto da due unità della Capitaneria di porto che ne hanno seguito la navigazione fino a un miglio da Lampedusa.

Immigrati Lampedusa 6Una delle due vittime, secondo quanto accertato dal medico legale, ha il cranio fratturato in due punti, l’altra ha riportato fratture allo zigomo e alla fronte. Per gli investigatori le lesioni potrebbero essere state provocate o da colpi di bastone o da calci. Probabilmente hanno cercato di aprire la botola, ma sono stati ricacciati indietro con la forza e senza pietà, ecco la spiegazione. Un’altra tragedia che aumenta il numero di  morti nel mare di Sicilia. Una strage, quella dei migranti libici, senza precedenti, morti agghiaccianti, come il silenzio delle onde che le accolgono.  

Sicilia terra di sole, tradizioni, sapori, riti, suggestioni, meraviglia,  incanto ed emozioni.  Sicilia  terra ricca di storia, è ora, anche, onde migratorie che si infrangono sulle sue coste. Il suo mare è simbolo di morte. Speranze recise, ma anche trafficanti umani che commettono crimini contro bambini, donne e uomini in fuga dalla guerra, dalla fame e della povertà, disperati in cerca di un futuro migliore, che spesso non sappiamo dargli. Viaggi per la sopravvivvenza. Viaggi impossibili e inumani.  Viaggi che non possono vederci solo in veste di spettatori. Bisogna attivare  uno sforzo internazionale, una mobilitazione reale, per ripristinare una vera cultura dell’accoglienza che coinvolga tutte le regioni italiane oltre che l’intera Europa. L’ennesima fine tragica che pone di fronte alla politica, agli organismi internazionali e non solo un grande dramma umanitario sul quale è neceessario trovare una finale migliore di quello scritto dalle acque della bella Sicilia.