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by Loretta Dalola


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Fame e spreco


Uno mattina estate Week end, il nuovo programma del fine settimana di Rai1,  esamina il disequilibrio contemporaneo tra fame e spreco. Nel mondo ci sono persone che soffrono la fame e muoiono di malnutrizione. Una strage silenziona che può essere arginata?

La nostra è una società legata al concetto di spreco, che manda al macero tonnellate di prodotti ubbidendo alle leggi di un mercato generato dall’egoismo e  che ha come diretta conseguenza l’arricchimento di pochi. Il cibo è  business e oggi investire sugli alimenti primari è un affare. C’è un aumento dell’attenzione nei confronti del mercato dell’agricoltura che in futuro dovrà soddisfare i bisogni di tutti, e per  sempre. Dunque l’interesse degli investitori aumenta e questo cambia l’economia del mondo.

Un tema che può sembrare così distante dalla nostra vita tranquilla e dalla nostra quotidianità. Eppure la fame non è un male inevitabile. Gli esperti confermano che il mondo è già oggi in grado di produrre cibo per tutti, nessuno escluso. Eppure si muore di fame. Sono le facce della stessa medaglia: lo spreco e la carestia di risorse alimentari. La radice del problema è che molti nel mondo non hanno terra, condizioni, capacità sufficienti per produrre il cibo di cui necessitano; oppure non hanno abbastanza reddito per comprarne. Una vulnerabilità di fondo, aggravata dalla difficoltà di accesso all’acqua potabile, che moltiplica le conseguenze dei disastri naturali, inclusi quelli generati dai progressivi cambiamenti climatici. Su equilibri già tanto vulnerabili vanno ad incidere l’assenza di sensibilità degli stati e la mancanza di politiche distributive e di riciclo.  E pensare che durante il Vertice mondiale dell’Alimentazione del 1996 i leader mondiali avevano preso il solenne impegno di dimezzare in vent’anni il numero di affamati: bene, dopo gli incoraggianti progressi iniziali il numero è cresciuto del 20 per cento e oltre.

Che rapporto c’è fra gli avanzi nel piatto e la fame nel mondo? Il rapporto invece esiste, perchè spreconi e affamati comprano il cibo sullo stesso mercato globale.

La lunghissima catena di distribuzione alimentare, soggiogata dalle grandi multinazionali e schiacciata dalla logica del mercato: produrre di più a qualunque costo tende a emarginare i piccoli produttori privilegiando l’economia di larga scala.  Il sistema industriale alimentare è tutt’altro che efficiente. Butta via una quantità di cibo paragonabile a quella che produce, è vorace di energia, compresa quella, costosa e inquinante, per i trasporti e richiede sussidi a man bassa dai governi. Produce tonnellate di rifiuti con gli imballaggi. Lo spreco ricade sulle spalle di tutti e sull’ambiente sopra a tutti.

Il futuro va affronatao riscrivendo la parola, sobrietà nella nostra mentalità. Diventa improrogabile ridisegnare uno scenario in cui produttori e consumatori tornino a costituire un’alleanza di valori e obiettivi per uscire dal sistema, nel quadro di un’agricoltura rispettosa dell’ambiente e delle comunità rurali. Cercando canali di distribuzione alternativi per accorciare finalmente la filiera, riducendo lo spreco e i costi a carico della collettività. Ecco un’occasione da non perdere per restituire dignità e autorevolezza alle istituzioni impegnate nella solidarietà e ai politici  chiamati a produrre nuove regole più giuste, eque, pulite. Insomma dobbiamo ricollocare al giusto posto i concetti: fame, spreco, essenziale, bisogno e superfluo.


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Una speranza per le donne


 Massimo Giletti torna in Afghanistan, nella puntata di “Domenica In l’Arena-Speciale 150°”, in onda su Rai1 per raccontare la missione più delicata delle forze armate italiane. Cosa fanno i nostri soldati, giovani italiani che portano alto il valore della bandiera, simbolo del nostro Paese, e che credono nel loro lavoro. Tanti ragazzi e ragazze che fanno il loro dovere e di cui si conosce o si parla poco se non quando tornano avvolti nel tricolore. Massimo Giletti è andato personalmente in Afghanistan per mostrare la missione delle nostre truppe,  impegnati per la ricostruzione provinciale di Herat, ha intervistato i militari italiani sui pericoli che corrono ogni giorno e sui rapporti instaurati con la popolazione locale.

Al di là delle polemiche e della retorica, Giletti ci mostra  l’impegno autentico dei nostri militari. Che è quello di portare il Paese fuori della crisi, non solo ricostruendo le strutture, ma soprattutto educando a una civiltà di pace dopo decenni di guerre. Fatti, non parole e  tutti gli ospiti  in studio si dimostarno concordi nell’evidenziare la scelta italiana di non bombardare, a differenza degli alleati. Italiani che si muovono come messaggeri di pace, che si contraddistinguono, dimostarndo che l’occidente è fatto anche di tentativi di capire le ragioni dell’altro, di capacità di ascolto, di umanità, in mezzo ad avvenimenti di estrema violenza. Italiani,che tentano di costruire un ponte, un segno di pace, un messaggio di speranza. Ancora oggi, parlare di Afganistan vuol dire burka che identifica simbolicamente la condizione  di privazione di ogni forma di libertà femminile. Dal 2001 ad oggi il confronto con l’occidente ha permesso uno sguardo diverso in questo territorio, possiamo ipotizzare un futuro per queste donne?

La scuola dedicata  alla memoria del sacrificio di Maria Grazia Cutuli, una testimone di pace morta per raccontare è un luogo protetto dove le bambine sognano di diventare medico e insegnante, una scuola dove le ragazzine hanno la possibilità di studiare e di conoscere per ampliare le loro possibilità future. Questo è un esempio. Un altro modo di essere militari, superando la guerra e i conflitti, una scuola simbolo, tutta blu, come il cielo di questa terra, come il lapislazzulo della ceramica artigianale locale, un tentativo, uno sforzo, faticoso, per dare un ruolo alla donna, che prima, sotto i telebani, non poteva nememno uscire di casa. Almeno ora negli occhi di quelle stesse bambine c’è la possibilità di vivere un’infanzia, un ‘adolescenza e forse anche di divenire donne consapevoli delle proprie scelte.  Una strada difficile, lunga, verso la libertà, come testimoniano le parole raccolte da alcune voci femminili: ” per fortuna qualcosa è cambaito, anche se non tutti gli uomini sono contenti del fatto che usciamo da casa…la violenza più grande è quella di sposarsi per forza”…

Un cambiamento lento, ancora oggi le donne, non possono sedersi sui taxi e sono costrette a viaggiare chiuse nel bagagliaio. C’è sempre una barriera tra uomo e donne, ma il seme del cambiamento è negli sguardi di queste bambine che non vogliono essere “spose bambine” di 9 o 10 anni costrette a comportarsi come vere mogli, private della loro infanzia, con l’obbligo di accoppiarsi con uomini di 20, 30 anni più vecchi, a volte anche di 70 anni. Costrette a sposarsi per forza. Volute con la forza. A loro non è concesso giocare, studiare, divertirsi…

L’ottica con cui noi, guardiamo al fenomeno è senz’altro italiana, anche se è fondamentale  lo sforzo di comprensione, non possiamo omologarci o peggio infischiarci dei diritti fondamentali degli esseri umani. E’ questo quello che fanno i soladti e i volontari che lavorano in Afganistan, sono eroi moderni che corrono rischi quotidiani, che ogni giorno affrontano l’incognita di un attentato, un lavoro faticoso condotto da tanta gente che non viene pubblicizzato e forse l’errore è di non parlare più dell’Afghanistan, se non quando la missione presenta qualche conto doloroso. Cioè ogni volta che piangiamo una vittima. Ovviamente non possiamo dimenticare che le nostre forze armate svolgono un’azione di controllo, di sorveglianza che consentono di supportare le attività umanitarie. Truppe addestrate e tecologicamente attrezzate per intervenire, difendere e salvaguardare i civili, scoraggiare e fare da deterrente contro i telebani più fanatici. Non possaimo nascondere che la nostra presenza propone dilemmi etici, le armi, sono sempre criticabili, insopportabili, non risolutive, ma forse anche questo nostro modo di porci, silenzioso, laborioso, modesto, è dimostrazione di democrazia.

Innegabile l’ambiguità del doppio ruolo.  Innegabili i dubbi.

Forse negli occhi di questi bambini che vogliono guardare lontano, c’è la risposta.


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Un altro mondo è possibile


In cooperazione  con le più importanti organizzazioni internazionali umanitarie e sociali, il canale 130 Sky propone “Current for Change”, il nuovo spazio televisivo dedicato al volontariato, lotta alla povertà e discriminazioni, tutela e difesa dei diritti dell’infanzia, sviluppo, sostenibilità e ambiente.

Il 2011 verrà ricordato come l’anno di Fukushima.  In un clima politico teso, la questione del nucleare sembra essere oramai un argomento spinoso che  divide l’opinione pubblica tra chi pensa ai risvolti economici positivi, e chi invece vuole salvaguardare la qualità della vita propria ed altrui. La diatriba di fatto toglie forza e sforzi economici alle energetiche e dopo 25 anni da Chernobyl che continuamente ci ricorda che  il nucleare non può essere l’energia,  la voce indipendente di Current da prova del suo impegno mettendo a disposizione dei telespetattori le voci della  protesta.

Ragazzi chiusi in una casa, senza la possibilità di uscire, con porte e finestre sigillate e con internet come unico mezzo di comunicazione con l’esterno:  non si tratta di un nuovo reality ma dell’iniziativa messa in atto da un gruppo di giovani per sensibilizzare l’opinione pubblica sul referendum nucleare. I protagonisti dell’iniziativa che  gridano all’Italia “I pazzi siete voi”  lo fanno sperimentando sulla propria pelle cosa vuole dire affrontare un’emergenza nucleare come quella vissuta a Fukushima dopo il terremoto che ha sconvolto il Giappone, parlano e documentano la loro iniziativa, immedesimandosi nel protocollo previsto in caso di incidente con emissioni radioattive:  barricarsi in un luogo chiuso, sigillando porte e finestre, spegnere i sistemi di ventilazione e condizionamento dell’aria, non bere acqua potabile, nonconsumere cibi freschi.

Se pur rari, i casi di incidenti nucleari accadono, e le conseguenze si pagano. Pensare di mantenere in sicurezza le popolazioni che coesistono in territori occupati da centrali nucleari è impossibile, lo dimostarno Chernobyl e Fukushima.  A Cernobyl la crisi economica non lascia scampo e le popolazioni più povere sono costrette a vivere del prodotto coltivato. In questi territori i campioni testati e analizzati presentano alti livelli di cesio, nel fieno, nutrimento delle mucche, ci sono alti livelli di radioattività e gli abitanti e i bambini vivono una situazione senza via d’uscita. Numerosi i ricoveri in ospedale dimostrano che potrebbero migliorare solo se avesero accesso a cibo sicuro, quindi i bambini  che oggi vivono nelle zone contaminate 25 anni fa, sono ancora a rischio futuro! Le conseguenze sono ancora visibili e dovrebbero costituire un monito per chiunque promuove il nucleare.

Puntare sul nucleare farà perdere all’Italia tempo prezioso che poterebbe esser invece investito  sulle vere energie pulite che in pochi anni potrebbero contribuire a soddisfare il fabbisogno del Paese. Investiamo in un mondo migliore, anche alla luce razionale dei reali svantaggi: la costante emissione di radioattività da parte delle centrali nucleari, anche durante la normale attività; gli elevati costi per il mantenimento della funzionalità; il problema ancora irrisolto dello smaltimento delle scorie; l’incapacità del nucleare di assicurare autonomia rispetto alle importazioni dall’estero, in quanto consente la produzione della sola elettricità. A tutto ciò si aggiunge la limitata quantità di posti di lavoro resi disponibili dalle centrali nucleari, se confrontati con quelli creati attraverso la conversione alle fonti rinnovabili di energia.

La  tecnologia non può garantire la sicurezza totale, la nostra salute è minacciata per gli anni a venire, il nucleare è troppo pericoloso e costoso, il messaggio è chiaro, tocca a noi scegliere e scegliere implica decidere. Decidere, anche etimologicamente, significa operare una fatica. Per alleggerire il peso di questa operazione mentale faccio ricorso alle voci dei giovani del video messaggio in onda su Current : “ Voi che avete dimenticato Cernobyl,  e minimizzato il disastro di Fukushima, Voi che pensate al vostro tornaconto personale alla faccia dell’interesse della comunità: siete pazzi pericolosi…Ci siamo chiusi in questa casa come quando esplode una centrale nucleare e vivremo come vivono in questo momento in Giappone…Vogliamo parlare ai ragazzi come noi, vogliamo parlare a te e ricordarti che questa battaglia riguarda tutti…chiamateci pazzi perché non vogliamo un’abbronzatura atomica…non mettiamo in pericolo la nostra vita con la favole delle centrali sicure…avete dimenticato Cernobyl? Chiediamo ai giapopnesi come vivono ora. Votiamo si ad un mondo verde…il nucleare non si fa…


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Caccia all’ultimo voto


Su Milano incombe la minaccia  della realizzazione di una moschea che fornirà sicura accoglienza a “devianze terroristiche e può captare un’utenza incontrollabile e incensibile” sono le parole di uno dei due ospiti di Lilli Gruber, Annamaria Bernini. E’ una settimana che Pisapia è finito sotto il pressing dei media per uno dei  suoi progetti contenuto nel programma elettorale,  di costruire una moschea a Milano. In questo contesto in cui lo scontro politico si fa aspro, i toni belligeranti e il centrodestra, con il premier Silvio Berlusconi in primis, che utilizza i musulmani come spauracchio la caccia all’ultimo voto per il secondo ballottaggio delle amministrative è accanita e fa leva sulla paura dell’islamizzazione.

Gian Piero Scanu anche lui ospite di Ottoemezzo su La7 appare meno scioccato dall’ipotesi della garanzia di una  libera manifestazione del culto mussulmano e ci vede invece un escamotage politico: “si sta inventando l’islamizzazione per una cinica richiesta di recupero voti”.

A chi  dice che la vittoria di Pisapia porterà alla costruzione di decine di moschee, con la conseguente invasione islamica, va ricordato che a Milano di moschee ce ne sono già dieci, tra abusive e non. Tutte sorte in questi anni in cui il comune è stato guidato proprio dal centrodestra.

In un proiezione futura il confronto culturale risulta indispensabile in una città che aspira a tornare a essere una metropoli europea. A chi ci vive, a chi ci lavora, a chi ama  Milano non può spaventare  una città migliore. Una “piazza virtuale” con  i milanesi che hanno voglia di discutere tra loro e a cui non può far paura la dimensione del Sacro, che è una risorsa fondamentale della vita di una grande città; una risorsa preziosa che tocca la sensiblita di migliaia di cittadini e che deve potersi esprimere all’interno di  spazi adeguati e visibili a tutti.

Forse i problemi dei milanesi sono altri e al posto della minaccia  che tanto spaventa Bossi :”La Lega non lascia Milano nelle mani di uno che vuol fare la moschea più grande d’Europa, vuol riempirci di clandestini e vuol trasformare Milano in una zingaropoli“, ai milanesi va semplicemente garantito  il diritto di scegliere il loro sindaco.

A dare la giusta dimensione  alla questione  ci pensa l’ironia di Maurizio Crozza nella copertina di Ballarò : “Un Premier superlativo” che è apparso in qualche Tg, tanto che il figlio era convinto di avere rotto il telecomando e alla sua domanda “papà forse dovremmo cambiare tv, il comico ha risposto “tesoro, forse dovremmo cambaire paese!” ” Ci pensi, Giò, un Premier che ha detto che con Pisapia, Milano si riempirà di centri sociali, mussulmani, zingari e  cosacchi,  anche i cosacchi?  Ma da dove arriva tutta stà gente, si vede che sono tutti ammicchiati a Voghera in attesa del ballottaggio”?


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Sgarbo a Sgarbi


Enrico Mentana dal suo Tg, dopo aver riflettuto sulla clamorosa chiusura del programma di Vittorio Sgarbi passa  la parola agli ospiti di Lilli Gruber: Beppe Severgnini e Serena Dandini e “scusate se è poco” conclude.   Ed ecco accendersi le luci nello studio di Ottoemezzo dove anche la padrona di casa riprende l’analisi della faccenda girando direttamente la domanda alla Dandini: ” perché uno dei programmi della Rai è stato chiuso”? – “si dice per mancanza di spettatori, risponde l’ospite, ma è un pò troppo, di solito si da il beneficio della seconda volta, anche perché ha una scenografia bellissima che io vorrei riutilizzare, giusto per non sprecarla, forse era un po’ troppo sgarbicentrica”! – In effetti, Sgarbi si è prodotto in un monologo  di attacco alle energie pulite, ha fatto da mattatore sperando di bissare e magari superare il record di Roberto Saviano, figuriamoci. Nel programma del noto critico d’arte non si sono ravvisati elementi di spettacolo,  non è un talk  e nemmeno qualcosa di nuovo, insomma un programma sbagliato dall’inizio oppure semplicemente il tempo dei telepredicatori è finito!
Ma facciamo un passo indietro, per chi non fosse informato sulla storia di un programma che non vedremo mai.  Dopo la prima puntata del critico ferrarese “Ci tocca anche Sgarbi”, causa uno share con poco più di due milioni di telespettatori, nettamente al di sotto della media degli ascolti delle rete per la prima serata.  L’ufficio stampa della Rai ha annuciato la sospensione del programma, condivisa dallo stesso critico. La chiusura lampo del programma non ha chiuso però la querelle scatenatasi in seguito che ora vede  all’indomani del flop, Vittorio Sgarbi confermare l’intenzione di procedere con azioni legali contro il quotidiano Il Fatto,  chiedendo rimborsi milionari per gli articoli di questi giorni su Salemi e sulla trasmissione tv: “Chiedo 10 milioni di euro per gli articoli dei giorni scorsi, quelli in cui mi si indicava come esecutore della mafia – spiega il critico ferrarese – perché è una cosa di una gravità assoluta”. La seconda querela, aggiunge, riguarda il pezzo andato in pagina oggi sul programma tv, “che attribuisce alla trasmissione dei costi per puntata inverosimili”.

Severgnini  esprime la propria opinione:”erano mesi che ne sentivamo parlare, un ‘idea me l’ero fatta, di solito c’è una prima, una seconda puntata, ma la prima e ultima è un fatto piuttosto insolito, credo che dopo vent’anni che Sgarbi fa la simpatica canaglia dovrebbe rivedersi, la gente se lo aspetta è abituata, forse uno Sgarbi pacato, gentile avrebbe spiazzato tutti, andare contro gli stereotipi sarebbe stato vincente”.

A riassunto fatto e col senno di poi credo che le responsabilità del flop vadano ridistribuite,  tra i dirigenti , il conduttore e gli autori;  questi ultimi forse dovevano presagire che il tempo delle liti, dei toni alti e dell’irritabilità è al tramonto che Sgarbi non ha per sua natura un ritmo televisivo sostenibile, pur possedendo un patrimonio  di conoscenza, non possiede il carisma necessario al mezzo televisivo, che al pubblico risulta antipatico e sprezzante e consegnargli l’incombenza di un one man show è stato arduo. Così il progetto culturale, ammesso che ce ne fosse uno, è andato appannandosi e ora a noi telespetattori  ci restano le polemiche, le calunnie, le querele.   Forse si è avuto troppa fretta di chiudere, forse si potevano vedere cose  interessanti, strutturate diversamente, forse il conduttore non andava sfruttato come il solito saccente provocatore. Ma a me sembra che visto che sovente si accusa  il pubblico televisivo di essere tanto insensibile ai richiami della cultura, quanto morbosamente interessato al gossip di ogni genere o ai reality, forse questo tentativo di acculturamento andava proposto in modo diverso, forse  questo tentativo di legare televisione e cultura non andava affidato interamente a chi fa cadere dall’alto la propria conoscenza e si propone sempre come uno che da lezioni su ogni argomento.

Insomma cultura e bello non si sarebbero incarnati nella figura dell’iracondo critico e conduttore, secondo il verdetto del pubblico sovrano. Il nuovo pubblico ha rifiutato  in quanto saturo, la tradizionale figura dello Sgarbi rissoso, egocentrico, esperto  e critico d’arte ma in passato si è lasciato trasportare docilmente da persone autorevoli, preparate, modeste, che non fanno calare dall’alto il loro sapere e che offrono un punto di vista originale della cultura. Pensiamo al recente e grande successo di Roberto Benigni che, dopo aver catturato e divertito il pubblico con le sue battute, lo ha sorpreso recitando e spiegando in un modo personalissimo, ma avvincente, la Divina Commedia. Pensiamo anche allo staordinario successo di “Vieni via con me”, un appuntamento diverso, intelligente che con pacatezza, autorevolezza e ironia ha affrontato i mali del nostro tempo con un linguaggio televisivo nuovo.

In conclusione il sistema televisivo gioca un ruolo importante per la sua potenzialità comunicativa, a patto che la cultura non sia un patrimonio di conoscenze riservate, come una forma nobile di intrattenimento, a una cerchia di élite, la cultura non può essere per pochi  – dev’essere cibo per tutti. È chiaro che a questo punto occorre seguire un’altra via: quella di capire che cosa sia veramente la cultura in televisione.


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Costituzione:memoria e seme del futuro


Quando parliamo di Italia e di italiani dovremmo sempre tener presente il nostro passato, le condizioni economiche e morali con le quali questa Repubblica è cominciata. É cambiata la nostra geografia e anche l’antropologia, tuttavia quelle condizioni non andrebbero dimenticate, sono state la spinta emotiva a costruire qualcosa di straordinario: la Costituzione italiana. Le bombe avevano distrutto tutto, eppure nonostante le divisioni il dibattito e il confronto hanno generato la maggior parte di questi articoli  approvati con larghissime maggioranze, ma il loro contenuto è il frutto dell’incontro di idee e valori dei partiti presenti all’interno dell’Assemblea Costituente, spesso diversi, tuttavia uniti dal comune sentire della lotta antifascista e dalla ferma volontà di dare all’Italia una Costituzione che traducesse in precise disposizioni le speranze e le attese per un profondo mutamento dello Stato e della società.

Come si vivrebbe in un mondo privo di regole e come è possibile educare alla legalità? Lo spiega a “Le Storie – Diario Italiano” l’ex magistrato Gherardo Colombo ospite di Corrado Augias su Rai3. Un procuratore della Repubblica che ha messo a nudo le magagne della Loggia P2 e di Mani pulite, attualmente ritiratosi dal servizio, fa il professore.  Prima metteva in galera  i delinquenti che non rispettavano la legge, oggi, parla ai ragazzi e  tenta di educare le giovani menti al rispetto della legalità. É  anche lo scopo del suo  libro “Educare alla legalità”  che avvicina ancora di più al rispetto dei valori della Repubblica. E’ un manuale che serve da supporto a genitori, insegnanti e a tutte le persone che lavorano o che hanno a che fare con la formazione dei bambini e dei giovani. Il volume, mediante l’analisi e l’approfondimento di alcuni degli articoli fondamentali della Costituzione italiana, aiuta ad esprimere e ad insegnare quelle regole che servono a costruire una società civile, in nome della legalità e nel rispetto dei principi che la governano.   Uno strumento indispensabile per l’educazione in giovane età,  una solida base per la formazione degli italiani di domani, perché “per andare verso le parole: dignità, libertà e diritti bisogna fare qualcos’altro” lo dice l’exmagistrato alzandosi dalla poltrona e  dirigendosi alla lavagna,  disegnando un triangolo che rappresenta “il nocciolo della Costituzione: persone, diritti, opportunità, è il fondamento del fondamento, ciò che la Costituzione intende realizzare nella nostra società”!

La lezione televisiva continua coinvolgendo i ragazzi presenti in studio che a turno leggono l’art. 3 e l’art.2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” “Vuol dire che siamo importanti, tutti, che i diritti sono inviolabil, tutti, se tutti siamo importanti abbiamo diritti che non possono essere toccati e questo porta alle opportunità”.

Dunque l’idea base della Costituzione italiana è rappresentata dal valore che viene attribuito alla democrazia e infetti L’art. 1 dichiara che “L’Italia è una Repubblica democratica…” in cui “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Un governo del popolo dove la sovranità non vuol dire che può far tutto, ma impegno e fatica per far si che tutto funzioni, reprimere da subito ogni forma d’illegalità diffusa, combattere ogni forma di sopruso e sviluppare una cultura al rispetto della Repubblica, tanti aspetti, tanti profili che riguardano tutto quello che ci sta attorno e che rappresentano il modo di intendere la vita.

L’art. 53  recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”…. Ogni cittadino non partecipa alla spesa pubblica in relazione al beneficio che ne trae, ammesso che fosse possibile quantificarlo esattamente, ma in relazione alla sua capacità di pagare, sulla base di criteri di progressività. Si realizza così una gigantesca forma di solidarietà sociale e di aiuto reciproco, mediato dallo Stato: per il migliore benessere di tutti, chi possiede poco darà poco, chi possiede molto darà molto, in misura più che proporzionale e in modo che il sacrificio degli uni e degli altri sia uguale.

Idee e principi che vennero elaborati in un anno e mezzo da 500 persone, che cercarono di trovare un punto di convergenza, un miracolo d’intesa. La Costituzione repubblicana non nacque quindi dalla preponderanza di una parte politica sulle altre, ma da un aperto e fecondo incontro ideale, da un’intesa che doveva servire come guida alle variabili maggioranze parlamentari e di Governo che, domani, diversamente interpretandola, avrebbero dovuto poi tradurla in provvedimenti concreti.

Ma i veri protagonisti chiamati a partecipare a questo gioco democratico sono i partiti politici di massa che, facendo da tramite tra società civile e Stato, sono chiamati a condurre il Paese. Chi è libero sceglie, chi non è libero non può scegliere. Ma chi è libero è responsabile della sua scelta.

Forse i politici che si affacciano sull’attuale scena politica italiana dovrebbero scorrere attentamente le pagine della Costituzione o del libro che ne approfondisce i concetti, perché per affrontare il futuro del nostro Paese ora più che mai,  è necessario tornare a rispettare le istituzioni, le leggi e  le altre forze politiche.


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Prete o laico, si può?


Corrado Augias su Rai3, ospita a “Le Storie – Diario Italiano”Don Pierluigi Di Piazza,  fondatore del Centro di accoglienza per stranieri Ernesto Balducci del piccolo paese friulano di Zugliano. Un prete che ha fatto dell’integrazione e dell’accoglienza la sua principale missione. Una puntata che gira attorno ad una parola : laicità.

Uno Stato è caratterizzato da laicità, ovvero è laico, quando è assolutamente neutrale rispetto alle dottrine religiose professate dai cittadini, a prescindere dalla qualità e dal radicamento sociale dei culti o delle chiese. Ciò significa che non è compiutamente laico uno  Stato che accorda privilegi a qualsiasi chiesa o culto, comunque motivato sia il privilegio. Il laicismo corrisponde più a un metodo che a un contenuto, è piuttosto un modo di vivere con coerenza anche se spesso accusato di anticlericalismo. In realtà il laicismo non comporta, di per sé, alcuna ostilità nei riguardi delle religioni o delle chiese. I cittadini credenti possono essere laicisti. E persino i ministri di culto. Ed è ciò di cui si parla in studio, proprio con un ministro del culto cattolico Don Pierluigi, autore del libro: Fuori dal tempio – la chiesa al servizio dell’umanità. “Mi sento laico, umile credente sempre in ricerca, prete per un servizio disponibile, disinteressato, gratuito nella comunità cristiana e nella società; anticlericale, cioè non appartenente ad una categoria; non funzionario della religione”.

Parole inconsuete in bocca ad un rappresentante della chiesa cattolica italiana , una teologia abbastanza lontana dalla chiesa ufficiale, un modo di vivere che vuole proseguire il messaggio di Gesù:  “Quando Gesù di Nazaret muore sulla croce, il velo del tempio si squarcia perché Gesù viene ucciso dall’intreccio dei poteri culturale, legislativo, politico e religioso, nonché dal braccio armato militare dei romani”. Un personaggio scomodo ucciso dalla gerarchia che ha creato una contraddizione insanabile. ” È il contrasto che pone da una parte il Dio del tempio, gestito dai sacerdoti di una religione tradizionale che di fatto legittima le disattenzioni per i bambini, la discriminazione della donna, l’esclusione degli ammalati, la cacciata di coloro che sbagliano, dei peccatori, il disprezzo per la gente povera considerata ignorante dalla classe dirigente. Dall’altra parte Gesù pone una fede, non una religione; una fede incarnata della vita, nella storia e soprattutto nelle relazioni con le persone. Quindi il Dio del tempio e il Dio di Gesù di Nazaret entrano in un conflitto insanabile “.

Un messaggio strano quello dichiarato da questo Don che vuole una  Chiesa credibile, coerente e ispirata al Vangelo di Gesù  soprattutto fuori dal tempio a contatto con le persone concrete. Un prete alle prese con i temi più discussi nelle comunità cristiane: le delicate posizioni dei separati e divorziati nella Chiesa, l’aborto, l’omosessualità, il celibato dei preti, il sacerdozio delle donne, la pedofilia, la malattia e il fine vita. Il tutto in un impegno di fede e di sincerità.  Un prete che riflette con inquietudine su una Chiesa che ha costruito nella storia un potere che affonda nella fede di Stato, che ha costruito un Dio che gronda di sangue, che ha saldato la fede con la politica in un abbraccio mortale: “E così c’è un Dio che si è stretto ai razzisti che usano il crocifisso per opporsi agli altri, un Dio dei ricchi, un Dio dei mafiosi, un Dio di potere che pretende di essere assoluto e non accetta critiche e poi c’è un Dio riconoscibile e aperto a tutti, schierato dalla parte dei più poveri e degli oppressi”.

Una teologia decisamente diversa da quella ufficiale che impone un stato teocratico con proiezione globale, potenza finanziaria internazionale, agenzia spirituale, educativa e morale,  che ambisce a prendersi cura dell’’umanità dando risposte ai problemi fondamentali dell’esistenza come la nascita e la morte. Il rapporto tra teologia e potere è una chiave da cui non si può prescindere. Interessi e valori: è in questo binomio che si condensano da sempre le preoccupazioni fondamentali della Chiesa nei suoi rapporti con lo Stato e con la politica.

Un prete che abbraccia il laicismo come pensiero forte che si sostituisce a pensieri totalitari, un laicismo che propone la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino come caposaldo della morale e il pensiero scientifico-filosofico come forma di conoscenza universale. Un prete che non farà molta carriera nella Chiesa!


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Viaggiare nel tempo?


In un clima politico arroventato  il nuovo ciclo del programma Voyager, condotto da Roberto Giacobbo prende il via presentando una completa indagine sull’ibernazione umana. E’ possibile alterare la realtà viaggiando nel tempo e diventare immortali?

L’ibernazione sta diventando tangibile, in passato era tema da fantascienza oggi, corpi in attesa di risvegliarsi potrebbero realizzare il desiderio dell’uomo di fermare il tempo. Da sempre, l’uomo, deve fare i conti con le malattie, la morte, la durata. Ma c’è qualcuno che ha deciso di provare a sfidare proprio il tempo, sperando di arrivare, un giorno, a sconfiggerlo. Cellule staminali, clonazione, trapianti sempre più complessi, hanno come obiettivo l’immortalità.  L’idea parte da molto lontano,  gli egizi infatti avevano come obiettivo una vera vita oltre la morte, considerata privilegio  del faraone, ma anche i sudditi, speravano che l’immortalità del sovrano si riflettesse in qualche modo su di loro. Ora gli scienziati si stanno spingendo oltre, stiamo parlando di crioconservazione,  un particolare procedimento  che rende possibile congelare gli esseri umani e conservarli per un lungo periodo di tempo per farli rivivere in futuro. Se tutto ciò era pura fantasia, oggi sembra sempre più una profezia: alla luce di recenti sviluppi scientifici, un simile metodo per la preservazione di un essere umano non sembra più così assurdo. Studi e sperimentazioni affermano che la maggior parte della gente che vive al giorno d’oggi ha la possibilità di raggiungere l’ immortalità fisica.

Dunque obiettivo dichiarato quello di allungare la vita, per realizzare il sogno del genere umano: l’immortalità. Le telecamere di Voyager hanno raggiunto gli Stati Uniti e la Russia per entrare nei laboratori dove viene praticata la criogenica, ascoltando, in esclusiva, le parole del padre dell’ibernazione umana: Robert Ettinger.  Lo scienziato cominciò ad occuparsi della conservazione di corpi umani a basse temperature nel 1948, ma tali idee cominciarono a circolare negli Stati Uniti solo nei primi anni sessanta, con la pubblicazione del suo “La prospettiva dell’immortalità”. Da allora, Ettinger ha fondato il Cryonics Institute, una delle due principali organizzazioni crioniche internazionali e la pratica da lui inventata,  ha lentamente attirato l’attenzione di un numero crescente di persone – ad oggi sono alcune centinaia coloro che hanno organizzato la propria “sospensione temporale”, in attesa di essere riscaldati e rianimati.  Secondo Ettinger, i morti dovrebbero essere considerati come individui “temporaneamente incurabili”, come individui che una scienza più avanzata potrebbe un giorno resuscitare, riparando i danni causati da malattia,  incidente o vecchiaia – qualunque sia stata la causa della loro morte. Il tipo di  conservazione da lui suggerito consiste nel surgelamento, tramite immersione in elio o azoto liquido.

Presto quindi, potremmo essere in grado di congelare un organismo umano senza danneggiarlo. Quando ciò sarà possibile, dovremo sostituire i cimiteri con dormitori, così che ognuno di noi possa avere una speranza di ottenere quell’immortalità che lo stato attuale della ricerca scientifica sembra promettere. Casi di congelamento naturale forniscono l’occasione alla scienza e alla medicina di studiarne le opportunità.  Profonde ipodermie sono indotte attualmente in sala operatoria per poter operare malformazioni cardiache offrendo ai medici il tempo necessario di intervento con l’adeguata protezione miocardica e cerebrale, aprendo nuove possibilità alla medicina. E’ la  tecnica crioassistita che consente  potenzialità ancora non del tutto esplorate.

Il sogno dell’immortalità ovvero l’abolizione del limite continua e chissà cosa potrà succedere in futuro. Certo che  il viaggio nel tempo e lo spostamento in epoche temporali sconosciute suscita perplessità, è da tener in conto che le  persone che si ritroveranno proiettate nel futuro dovranno affrontare tematiche alle quali è impossibile rispondere oggi, un futuro sconosciuto, senza affetti, più roseo,  forse migliore?


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Addio alla carta e bentornata bicicletta


Mentre il TG2 ci aggiorna che per aiutare l’ambiente la documenatzione cartacea diverrà un ricordo, Costume e società, il  magazine televisivo  quotidiano dedicato agli approfondimenti e alle notizie di attualità da ampio spazio alla bicicletta, che torna di moda.

In Italia  l’era della documentazione cartacea si avvia alla sua conclusione. Addio alla carta e via ai documenti on line.
Il Ministro per la Pubblica Amministrazione  ha dichiarato che, entro il 2012, le PA italiane non utilizzeranno più carta per le proprie comunicazioni. Tutto dovrà transitare sul computer.  Mai più  documenti in cartaceo che necessitano di percorsi lunghi e difficili, ma un processo unico, più dinamico e trasparente e soprattutto più rapido, con tutti i vantaggi che questo comporta, compresa la riduzione dell’anidride carbonica prodotta dai gas di scarico dei camion utilizzati per il trasporto  dei documenti. Innovazione imprescindibile se davvero si vuole svecchiare un meccanismo, come quello burocratico, da troppo tempo impregnato di processi lunghi, documentazione, convalide, scadenze e tutto quanto comporta rallentamenti che vanno ad ostruire il normale flusso delle procedure.

Ma non è il solo cambiamento che si sta delineando all’orizzonte degli italiani. Numerose le  iniziative per promuovere l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto. Molti lo fanno già, ogni mattina per spostarsi e raggiungere il luogo di lavoro si sono trasformati in ciclometristi adottando questa risoluzione dei problemi  delle città legati alla mobilità.  E’ un rifiorire di biciclette che si incontrano o  per praticità o per ridurre i tempi di spostamento senza rimanere imbottigliati nel traffico caotico cittadino.

La Bicicletta che è stata fino  a pochi decennni fa un fondamentale mezzo di trasporto, spesso l’unico a disposizione delle classi meno agiate, torna ad essere un mezzo di trasporto concorreziale che può contribuire concretamente ai problemi di mobilità e inquinamento. Le bici possono essere utilizzate anche per fare la spesa o raggiungere la fermata dell’autobus o del treno, ma è anche  un  modo di fare sport che diventa scelta di vita: si fa  attività fisica ma si gode il panorama. In una società che si muove a favore di un equilibrato rapporto uomo natura, per un modello di sviluppo fondato sull’uso appropriato delle risorse naturali ed umane dell’ambiente, del territorio e del paesaggio, la bici  sui percorsi urbani congestionati si dimostra il più delle volte addirittura un mezzo più veloce. Il vantaggio aumenta notevolmente se si includono i tempi e/o i costi di parcheggio, benzina e le svariate ore di lavoro necessarie a mantenere un’autovettura.  Inoltre la bicicletta può costituire un formidabile punto di partenza per un percorso di riflessione sul consumo irresponsabile, sulla mobilità prigioniera delle logiche di potere, dell’inquinamento e sull’uso indiscriminato del pianeta. Senza dimenticare che facendo attività fisica si mettono in moto le endorfine, quindi si arriva al lavoro di buonumore!

La ciclomozione avanza inesorabile e molte amministrazioni l’hanno capito e si stanno attrezzando per fronteggiare questo nuovo modo di spostarsi. Infatti  prende il via la prima “Giornata nazionale della bicicletta”, il Bici-day, voluto dal Ministero dell’Ambiente per promuovere la mobilità sostenibile. Numerose le iniziative organizzate dagli oltre 1.300 Comuni italiani che hanno aderito all’iniziativa. Biciclettate tra arte, natura, shopping e golosità, chiusura dei centri storici al traffico, mostre sulle due ruote, musei a ingresso gratuito, spettacoli all’aria aperta, lezioni di educazione stradale, concorsi e premi per grandi e piccini per promuovere l’uso della bici, che fa bene alla salute e all’aria delle città.

La bicicletta quindi, può essere considerata senza dubbio un mezzo e un simbolo privilegiato d’impegno sociale quotidiano che ognuno di noi può praticare.

Sul sito http://giornatadellabicicletta.minambiente.it, è possibile consultare il calendario completo degli eventi organizzati dai singoli Comuni.



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Stiamo tutti bene? Vento di rivolta!


Come ogni giovedì, una nuova puntata di Annozero, la trasmissione condotta da Michele Santoro. Tema della serata, la crisi del Paese, aperta con la domanda rivolta agli ospiti in studio: “Stiamo tutti bene?”

Mentre tutti i nostri governanti sono impegnati nelle crisi interne, dovute, soprattutto, ai rapporti tra il Premier e la Lega Nord che stanno cedendo, il Paese rischia di ritrovarsi in una profonda crisi economica che sembra passata in secondo piano. L’Italia è un paese dove può capitare di tutto: al voto si, no, subito. Poi la convergenza del Pdl e della Lega. Poi dichiarano che possiamo mettere fine alla dittatura libica e infatti la bombardiamo, poi la Nato afferma che finché Gheddafi è vivo la guerra continua…forse ci sentiamo disorientati da cotanta chiarezza e allora, ecco che dallo studio arrivano le spiegazioni.

Pierluigi Bersani, leader del Partito Democratico, che  dichiara che in 8 anni di governo Berlusconi non ci sono mai stati miglioramenti e “bisogna risolvere il disagio del popolo leghista che io capisco, ha votato leggi salva-premier, che voleva il federalismo per abbassare le tasse e si ritrova un federalismo dove i comuni devono alzare le tasse, questa gente non voleva la guerra e abbiamo bombardato, per questo abbiamo assistito alla sceneggiata di Bossi, allora cosa faranno? Ci dicano se vanno o se ci stanno?  Per Berlusconi  governare, è solo un dopolavoro, un governo che è al traino della Lega – ha solo una voglia disperata di sopravvivere senza mai affrontare nessuno dei tanti problemi che affliggono il paese, è una sopravvivenza estenuata. –  Siamo di fronte a tecniche di sopravvivenza: salvare il presidente del consiglio dai processi, evitare il referendum sul nucleare, fare un po’ di sottosegretari. – Sfido la Lega, voglio sfidarla: non può tenere il piede in due scarpe. Se il governo non ha credibilità e l’opposizione non prende credibilità – ha aggiunto il leader del Pd – il paese va allo sbando”.

Pronta la replica di Roberto Formigoni, Presidente della Regione Lombardia. “Quando si deve assumere una posizione di governo si è assunta una posizione unitaria per cui la mozione è stata approvata con i voti della Lega e del Popolo delle Libertà ha avuto una netta maggioranza e la posizione dell’Italia è definita in un contesto internazionale. Piuttosto è stata l’opposizione a dividersi. “La mia posizione è sempre stata critica, fortemente critica nei confronti di questa guerra – ha aggiunto Formigoni – nei fatti molto vicina a quella della Lega. Sono stato critico anche nella prima parte di questa vicenda quando ci eravamo limitati a concedere le basi ed erano gli altri a fare le missioni di bombardamento. Credo che il mondo intero e non solo l’Italia sia vittima di un grande abbaglio: non conosciamo quello che succede nei Paesi arabi, i meccanismi tribali di clan che governano la Libia, sono tutti convinti che se Gheddafi morisse il problema si risolverebbe. Basta conoscere qualche cosa, aver letto qualcosa della stampa di questi anni per rendersi conto che Gheddafi si regge su una base di consenso, piaccia o non piaccia, fatta di clan. Il rischio è che questa guerra  peggiori la situazione piuttosto che migliorarla.

E si ricomincia, con il ping pong verbale, mentre il collegamento in diretta da Carbonia  racconta l’impatto della crisi economica in Sardegna, dove pastori, artigiani, commercianti, operai, lavoratori, riuniti dalla reale difficoltà di sopravvivenza stanno protestando :“Siamo arrabbiati nei confronti di una politica che non ha tempo per la soluzione dei problemi, è l’ora della rivolta!”.

In effetti assistiamo per la prima volta ad un blocco sociale dal basso che manifesta l’intensità e la forza del disagio italiano, la confluenza di più categorie sarde sono una vicenda pilota a cui fa seguito anche lo sciopero nazionale, pertanto non mi sembra che stiamo tutti bene. Se a Carbonia prima c’erano le miniere, le fabbriche, gli artigiani, le attività  e ora non c’è più nulla, anzi, c’è il presidio dei lavoratori arrabbiati, disperati e in lotta, è segno che la politica ha problemi seri. Come la togliamo la profonda oppressione dell’angoscia del futuro? Indubbia la crisi economica globale ma, noi abbiamo anche l’aggravante di una maggioranza che ha creato il corto circuito attuale ed è evidente che è arrivato il momento di soluzioni concrete.